Bisogna riconoscere che l’aborto è sofferenza e rinuncia a una parte di sé e quindi evitare, soprattutto da parte delle donne, ogni tentativo di semplificazione per ridurla a pura questione di diritto. In quest’ambito le parole hanno il loro peso e la loro importanza per evitare il continuo ripetersi di contrapposizioni ideologiche. C’è una novità che tutte e tutti dobbiamo tenere presente: la drastica riduzione del ricorso all’aborto delle donne italiane. È quanto emerso anche dalla relazione del Ministero della salute sulla legge 194. Legge che, nel 1978, ha reso legale l’aborto nel nostro paese.
#Aborto, per la prima volta sotto i 60mila per le donne italiane. Relazione del ministero della Salute, confermato trend in diminuzione https://t.co/SZXrF7grqB
— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) January 12, 2018
E questo credo non sia solo dovuto ai problemi di applicazione della legge 194, ma al fatto che per le donne italiane l’aborto non è un metodo contraccettivo. Questo è anche il frutto della responsabilità delle donne verso la procreazione che sta alla base della legislazione italiana. Infatti, nell’impianto della legge 194, l’aborto è una facoltà di scelta offerta alle donne a certe condizioni. Questa facoltà non si colloca nell’ambito dei diritti ma in quella della responsabilità, condivisione e limiti alla base di una società. In questo senso penso che la legalizzazione dell’aborto si pone come una trasformazione della struttura della cittadinanza, dove la donna decide perché accetta regole e limiti stabiliti dalla legge, che riguarda non solo le donne ma impegna tutta la comunità nazionale.
Se si fosse definita la scelta dell’aborto un diritto soggettivo si sarebbe inevitabilmente arrivati a far configgere questo diritto con quello di altri soggetti quali il padre del nascituro e il nascituro stesso. Per evitare tutto ciò si fece, dunque ricorso al concetto di autodeterminazione che riconosceva alle donne, in ultima istanza, la responsabilità di decidere se accogliere o non accogliere una nuova vita. Infatti è la donna che deve mettere in gioco tutta se stessa nella gravidanza, nel parto, nell’accoglienza del neonato [Francesca Izzo].
Nel nuovo scenario, caratterizzato appunto da una consapevolezza più profonda e matura del problema, gli appelli in difesa di “un diritto all’aborto” appaiono come una povera autodifesa del tutto inadeguata. Credo non servano contro-crociate su diritti inesistenti, c’è bisogno invece di valorizzare la nuova cultura della responsabilità che si esprime nelle donne italiane come il risultato della legge 194, perché basata su un chiaro equilibrio tra il valore della vita del nascituro e la salute delle donne, perché fa leva sulle loro responsabilità e della coppia, della scienza e coscienza del medico.
Solidarietà alla @CasaIntDonne_Rm per il vile gesto subito. La #legge194 sull’aborto è una conquista che non può essere offesa né messa in discussione.
— Anna Finocchiaro (@FinocchiaroAnna) April 7, 2018
C’è una grande confusione in giro su una questione già conflittuale di per sé per le donne che devono decidere di ricorrere all’aborto. Oggi, più che ripetere le vecchie divisioni del passato, è forse il momento di confrontarsi sulla scelta delle donne italiane di non considerare e di non praticare l’aborto come metodo contraccettivo.
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