I destini incrociati di due coppie di adulti che si stanno separando intessono la trama del nuovo, fascinoso romanzo di Cristina Comencini, dal titolo “Da Soli” (Einaudi, 2018). Le storie di Andrea e Laura e di Piero e Marta, accompagnate dal coro delle amanti e degli amanti rispettivi, delle amiche e degli amici disegnano vicende che, pur nella loro singolarità, ci toccano da vicino, parlano di esperienze nostre o che abbiamo conosciuto, ci rinviano a momenti delle nostre vite.
Le due coppie si conoscono da anni, anzi hanno iniziato le loro relazioni contemporaneamente e ora entrambe si stanno separando. Marta di colpo senza dare spiegazioni ha lasciato il marito Piero, disperato e alla ricerca di un perché, mentre Andrea, dopo una vita coniugale fatta di tre figli, di amore e di infedeltà, decide che non solo non può vivere sotto lo stesso tetto con Laura ma neppure parlarci. E Laura, che pure è ben consapevole di tutto tanto da dormire in camere separate, vive così dolorosamente l’abbandono che si ammala. Sono quattro personalità e, scopriamo attraverso serrati dialoghi, con infanzie, fantasmi, angosce desideri molto diversi che hanno trovato nel matrimonio, meglio nella convivenza in case piene di bambini e formicolanti di vita, chi la realizzazione di un desiderio, chi un rifugio momentaneo, chi una messa in scena protettiva, chi un mezzo per fondersi con l’altra.
Storie (e bufere) di amori maturi. In «Da soli» Cristina Comencini immagina la storia di due coppie che si lasciano «nella seconda metà della vita». Ne scrive @PierluigiBattis: https://t.co/vuPwCUZiV1 pic.twitter.com/j9Ha7Uklux
— Corriere.it Cultura (@CorriereCultura) March 24, 2018
Tutti i protagonisti sono impegnati a capire cosa li ha portati ad agire, procurando sofferenza, dolore o a subire le altrui decisioni. E ciascuno a suo modo arriva a comprendere meglio sé e l’altro e, nella separazione, a conquistare una reciproca sincerità. Eppure, come spesso accade nei romanzi di Cristina, drammi individuali, germinati dalla vita quotidiana, diventano cifra di qualcosa di più grande, anzi di transizioni storiche. Era già accaduto con Lucy, e ora, in questo libro, la fine di due matrimoni consolidati – durati decenni, fecondi di figli e con nipoti in arrivo – lascia intravedere radicali cambiamenti in un futuro che è già presente. È un sogno di Marta alla fine del libro che ci dà la cifra:
…sta ristrutturando un’ultima casa con molte stanze, per figli, genitori, un grandissimo soggiorno comune, librerie, studio, bagni, e, in fondo al corridoio, anche la camera della nonna…E poi si accorge che lei è fuori dalla casa e la sta guardando in un museo etnografico e il suo appartamento è accanto alla ricostruzione della caverna dei Neanderthal…Poco più in là c’è l’unico ambiente del maso chiuso…poi la casa contadina sarda…”.
Uno dei leitmotiv del romanzo sono le case, quelle vissute dai protagonisti, simili a quella descritta nel sogno e quelle “sperimentali” che accolgono i naufraghi dei matrimoni. Non è dunque in ballo l’amore, anzi si prospettano per alcuni dei protagonisti nuovi incontri, la vena della passione amorosa non sembra affatto esaurirsi. Quello di cui Cristina percepisce, con dolorante nostalgia e però viva curiosità, è il tramonto epocale – da Roma a Pechino – della forma familiare della convivenza tra uomini e donne e pare dirci che il destino che ci attende è stare “da soli”, ovvero senza più condivisione di fragilità, dolori, piaceri, figli…
È proprio così? Ma quello che Cristina, con abilità narrativa, lascia filtrare dai racconti dei matrimoni falliti è che sotto la copertura del tutto in comune covavano abissi di solitudine. E lascia aperta l’interrogazione su come “accasare” le nuove relazioni tra donne e uomini che non rinunciano più a essere se stessi e che vogliono guardare all’altro con amore e rispetto.
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