Esce in questi giorni ‘Donne, chiesa, mondo’, l’inserto mensile dell’Osservatore Romano, dopo le dimissioni in aprile della fondatrice Lucetta Scaraffia e delle colleghe di redazione: “gettiamo la spugna perché ci sentiamo circondate da un clima di sfiducia e di delegittimazione progressiva”. Il lavoro riprende da un comitato di direzione che annovera studiose di teologia e bioetica, ma anche una poetessa, una scrittrice e docenti del calibro di Yvonne Dohna Schlobitten, Chiara Giaccardi e Francesca Bugliani Knox. Il ruolo di coordinatrice di questo gruppo, dal carattere internazionale, è stato affidato a Rita Pinci: non una teologa, non una storica della Chiesa, o una vaticanista, ma una giornalista, molto nota e di grande esperienza, e una persona credente. Con lei abbiamo parlato di questa nuova sfida che la attende, di femminismo, di Papa Francesco e del ruolo delle donne nella Chiesa.
Lei è stata incaricata di dirigere un comitato di direzione per “Donne Chiesa Mondo”. È un’organizzazione diversa da quella di prima? Dunque niente più direttora?
Non c’è un direttore, o una direttora. C’è un Comitato di Direzione composto da dieci donne, io sono una di loro e ho anche il ruolo di coordinatrice. Alla rivista lavorano inoltre quattro giornaliste dell’Osservatore Romano. La struttura gerarchica quindi è una novità: non più verticale, ma orizzontale. La linea editoriale sarà decisa insieme, insieme decideremo i temi da affrontare e come. Io aggiungerò la mia competenza, diciamo, tecnica, perché sono una giornalista che ha sempre fatto molto desk nei giornali e ha imparato a “costruirli”.
Le posso chiedere come è stato scelto il comitato di redazione? Quali le modalità?
Sottolineo che non è un Comitato di redazione ma di Direzione. È stata una catena, un anello ne ha agganciato un altro. Alcune di noi conoscevano il direttore dell’Osservatore Romano, di cui ‘Donne chiesa mondo’ è il supplemento femminile mensile, alcune si conoscevano tra loro, alcune lavoravano già insieme…siamo un Comitato non concluso e non chiuso, aperto, in cammino.
Non pensa che cambiare la struttura, da direzione redazionale a comitato di redazione, in realtà, sia un modo per rendere meno autorevole la voce delle singole donne, rendendo più facile e controllabile il loro lavoro?
Ma è accaduto esattamente il contrario. Prima c’era un comitato di redazione, ora c’è un comitato di direzione. Che controlla da solo il proprio lavoro. L’autorevolezza, in ogni caso, di una persona, di un gruppo, di una voce non è data da una definizione, da un ruolo, da una funzione. Ma dalla competenza, dalla capacità di ascolto, dalla preparazione, dalla sensibilità nel rapportarsi con le persone con cui si lavora, con il prossimo in genere. E anche la libertà, come diceva Maria Montessori, non è una cosa che può essere “concessa”, perché è nella natura umana.
Ho letto che lei è una femminista, alcuni l’hanno definita però una ‘ex femminista’. Quanto è importante per lei il femminismo nella interpretazione della complessità contemporanea, e soprattutto nella interpretazione dei testi sacri?
Sono stata femminista e lo sono. Ai tempi dell’università aderivo al Collettivo per il salario al lavoro domestico. Il femminismo mi ha dato uno strumento in più per leggere la realtà, per cercare di correggerla laddove – dal mio punto di vista – non è giusta ed equa e non rispetta i diritti delle persone. Non è incompatibile con la lettura dei testi sacri.
Papa Francesco ha detto che la “Chiesa è donna”: che voleva dire?
Lo ha detto lo scorso anno durante la trasmissione Ave Maria di Tv2000, televisione per la quale lavoro dal 2015.
Ha detto: “la Chiesa è donna, la Chiesa non è maschio, non è ‘il’ Chiesa. Noi chierici siamo maschi, ma noi non siamo la Chiesa. La Chiesa è donna perché è sposa. Maria è donna, è sposa di Giuseppe, pienamente accogliente dello Spirito Santo e dunque Madre di Cristo e della Chiesa. Quest’ultima è la sposa di Cristo. C’è una percezione della ‘maternalità’ della Chiesa che viene dalla ‘maternalità’ di Maria, della tenerezza della Chiesa che viene dalla tenerezza di Maria”. Più recentemente ha detto:
…il genio femminile che si rispecchia nella Chiesa che è donna. Invitare a parlare una donna non è entrare nella modalità di un femminismo ecclesiastico, perché alla fine ogni femminismo finisce con l’essere un machismo con la gonna. No. Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su se stessa, sulle ferite che ha.
E però la gerarchia ecclesiastica è tutta al maschile. Che ne consegue?
La mia personale idea è che non si tratta di ribaltare gerarchie, non è questione di posti da occupare; qui non stiamo parlando di ‘quote rosa’, che io non ho mai condiviso nemmeno in politica. Ma di riconoscimento e fiducia per le competenze.
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