Esaminando i flussi elettorali emerge un dato amaro, quello del forte astensionismo delle donne: dagli 11 milioni delle politiche del 2018, il numero delle donne che non si sono recate alle urne sale a 13 milioni nelle europee dello scorso 26 maggio. Se infatti si scende nel dettaglio dei risultati di queste europee, secondo i dati riportati su swg.it: dei 26,2 milioni di donne con diritto di voto, solo 13,1 milioni (50%) hanno partecipato al voto. Di questi 13,1 milioni, il 37% ha votato per la Lega (con un aumento del voto femminile pari al 17% rispetto alle politiche di un anno fa); seguono la lista del Pd e Siamo Europei con il 22% (con un aumento del voto femminile pari al 3%); i Cinque Stelle con il 17% (un calo del voto femminile pari al 14%); Forza Italia con il 9% (con un calo del 6%); la lista di Fratelli d’Italia con il 6% (con un aumento dell’1%).
In numeri assoluti possiamo affermare che la Lega ha preso circa 4,8 milioni di voti femminili, il Pd e Siamo Europei 2,8 milioni, i Cinque Stelle 2,2 milioni, Forza Italia 1,1 milioni, Fratelli d’Italia 788 mila. Questi numeri, uniti a quelli ottenuti dalle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento, ci portano a un totale di partecipazione al voto di 13,1 milioni di donne, mentre l’altra metà ha scelto di non votare. Qui c’è un terreno d’impegno nuovo da aprire e scavare per tutte quelle forze politiche, sociali e culturali progressiste ed europeiste, che possono e vogliono costruire un’alternativa credibile ai partiti populisti e sovranisti. In queste 13 milioni di astensioni è implicita una richiesta di una politica intesa, non come esercizio di potere, non come dibattito tutto interno, né come insieme senza una visione di società futura: nei fatti, e non a parole, c’è la richiesta di una politica rinnovata, effettivamente aperta e coinvolgente.
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