Il Nobel 2019 per l’economia è stato assegnato ai tre economisti, Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, per aver contribuito, con un approccio sperimentale, al dibattito sulla povertà. L’assegnazione di questo premio ci soddisfa in modo particolare per varie ragioni. La prima ha a che fare con il tema della povertà.
Povertà sotto la lente degli economisti
Oggetto di una lunga riflessione sul finire del XX secolo, culminata nel 1998 con il Nobel ad Amartya Sen – che riaccosta l’etica all’economia secondo le originarie impostazioni della disciplina fondata da Aristotele -, il tema della povertà passa in secondo piano nella fase di massima espansione della “finanza creativa”. Torna però alla ribalta con la Grande Crisi del 2008, quando gli effetti di una impostazione dell’economia finalizzata al solo profitto si sono tragicamente manifestati. Riprendere e rafforzare oggi questo filo, offrendo ai policy maker ricette più efficaci per combattere la povertà, può quindi costituire un importante progresso per l’umanità; e non dimentichiamo che sono le donne e le bambine a rappresentare la maggioranza dei poveri nel mondo.
Questo Nobel dato a chi lavora per offrire sostegno concreto alla gente, rappresenta poi una speranza per la professione dell’economista: non più solo un arido conoscitore di modelli ed equazioni, ma soprattutto qualcuno che lavora per ridurre le povertà e le sofferenze.
Esther Duflo e la politica dei piccoli passi
Un altro motivo di soddisfazione è che uno dei vincitori è una donna: Esther Duflo, classe 1972, la più giovane persona ad aver vinto il Nobel per l’Economia. Nata e cresciuta a Parigi, era già nota per la sua straordinaria carriera. Da anni è un punto di riferimento per chi si occupa di povertà e sviluppo. È la seconda donna a ricevere il Nobel in Economia, dieci anni dopo Elinor Ostrom, premiata per i suoi lavori pionieristici sui beni comuni.
In particolare, il lavoro di Duflo e colleghi valorizza la politica dei piccoli passi, in luogo o accanto alle politiche tradizionali dello sviluppo concentrate su grandi capitali e investimenti infrastrutturali. Un esempio? Meglio investire due euro per acquistare una zanzariera in un villaggio, che può salvare dalla malaria molti bambini, piuttosto che aspettare che i governi operino le bonifiche e le case farmaceutiche producano vaccini a prezzi accessibili.
Pioniera del “women empowerment”
Infine, è utile ricordare che Esther Duflo ha fondato, insieme ad altri, l’Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab (J-Pal) al MIT, il Massachusetts Institute of Technology. Si tratta di un laboratorio di ricerca sulla povertà da cui sono partite, non solo le idee innovative sull’approccio al tema degli aiuti umanitari di cui abbiamo parlato, ma anche quelle del “women empowerment”. Duflo sostiene, infatti, che aiutare le donne ad avviare una attività sia un potente motore di sviluppo economico e rinascita sociale, da ben prima che questo concetto diventasse di dominio comune.
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