Scrive Scurati, in un bell’articolo sul Corriere di ieri, che il Coronavirus è “la prova di maturità che spetta a una generazione baciata dalla sorte”. Parla dei nati negli anni Settanta, i miei e i nostri figli, ma io allargherei anche a noi, nate nell’ultima parte della guerra o subito dopo. Siamo stati anche noi una generazione fortunata. Di più, fortunatissima! Perché la spinta propulsiva ricevuta dalle nostre famiglie e dai nostri genitori che erano i sopravvissuti a quella carneficina, ci ha procurato uno slancio vitale aggiuntivo.
Da leggere Scurati di oggi sul Corriere pic.twitter.com/BrOxKvN4ar
— AndreaFrateffGianni (@AndreaFrateffGi) March 11, 2020
In questi ultimi tre anni, da quando non devo più scrivere per La Stampa che è, comunque, uno scrivere su comando, mi sono messa a scrivere per me stessa, come facevo da adolescente. Ho buttato giù molti racconti, tutti sulle mie esperienze che, però, in qualche modo, riflettono ciò che in tanti e tante abbiamo vissuto. Non so se li pubblicherò, ma certo, il senso complessivo che ne ho avuto è che sono stata una ragazza fortunata, vissuta in un periodo fortunato.
Anche la lotta armata che ha colpito il nostro paese per dieci anni, tra un attentato e un altro, ci è servita a porci domande, a maturare, a riflettere; così come la lotta per i diritti delle donne, a cui ho partecipato lateralmente, scrivendone su Annabella che allora era il più venduto tra i femminili.
Precariato e crisi delle ultime generazioni
A differenza di Scurati penso, però, che quelli nati negli anni Settanta e che, quindi, avevano vent’anni nei Novanta, hanno avuto molto meno fortuna di noi: precariato, insicurezza, università in crisi; genitori come noi: oscillanti tra un permissivismo spinto con punte di autoritarismo incomprensibili. E poi, più tardi, la grande crisi globale dell’economia, che avrà pure aiutato alcuni importanti paesi, come la Cina, l’India, il Brasile, a uscire dalla povertà, ma certo a noi europei, e in particolare a noi italiani, ha provocato molti danni. Uno per tutti: la difficoltà a trovare un lavoro.
Certo i trenta, e ormai quarantenni, non sono morti di fame; non hanno avuto le bombe, hanno visto le guerre solo in tv; hanno appena cominciato a imparare a convivere in una società multi-etnica, perché c’è stata, spesso, assai spesso, la tutela dei genitori e dei nonni. Ma questo li ha indeboliti, li ha resi incerti, li ha fatti dubitare di sè stessi, ha tolto loro la forza.
Una scossa dopo il lungo isolamento?
Non basta bere una birra con gli amici o andare in vacanza una settimana all’anno per diventare uomini e donne consapevoli dei diritti e doveri che comporta vivere in una collettività. Purtroppo non spero e non credo neanche che uno o due mesi di questo isolamento che ci impone il coronavirus possa cambiare il loro stato d’animo collettivo.
Ma come si fa? Il precariato pure qua! #covid19 #pandemiahttps://t.co/ICLbbv30y2
— Lagualdrappa (@EnneElle2017) March 12, 2020
Comprendere che la politica non è unicamente schierarsi con questo o quel partito ma partecipare in ogni modo all’evolversi del paese, è arduo oggi. Non è un caso che a votare ci vadano sempre meno persone. Mi sembra orribile solo ipotizzarlo, ma le difficoltà economiche a cui andremo incontro finita l’epidemia, potrebbero dare loro una scossa, perché sarà un periodo lungo, assai lungo. A meno che non arrivino tanti investimenti e tante riforme da rimettere l’Italia in carreggiata.
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