In questo tempo inimmaginabile che ci chiude in casa e sembra azzerare ogni certezza, c’è un’emergenza nell’emergenza che dobbiamo saper vedere. È vero quanto scriveva Paolo Giordano: uno scenario fino a ieri confinato nell’altrove – reale o immaginario – sembra prossimo. Ma questo altrove, se per un verso scompagina abitudini e comportamenti, per un altro li rafforza. Alcune cose cambiano, infatti, mentre altre non cambiano affatto, anzi peggiorano, come nel caso della violenza domestica.
Violenza domestica in quarantena, le ministre ai prefetti: ora case per le donne. Il numero 1522 è attivo https://t.co/fTXU8W8iOG
— Corriere della Sera (@Corriere) March 24, 2020
Sappiamo bene che la casa può non essere un luogo sicuro. Per renderlo tale spesso non bastano misure giudiziarie, denunce, ammonimenti e allontanamenti; a volte nemmeno la fuga basta a mettersi in salvo. Ciononostante, leggiamo e dimentichiamo rapidamente i numeri che raccontano come la violenza sia più in famiglia che fuori, e famiglia vuol dire quasi sempre casa.
Teniamo gli occhi spalancati e le luci spente
Siamo altrettanto distratti quando sentiamo rumori inconfondibili negli appartamenti vicini; quando vediamo occhiali da sole fuori stagione o bambini troppo buoni o troppo irrequieti. Come ha scritto Simonetta Sciandivasci, nella recensione al libro di Ema Stockholma, intitolato “Per il mio bene”: quando non vogliamo disturbare è perché vogliamo spiare, non vedere. È qualcosa che ci aiuta a crederci assolti, anche se siamo lo stesso coinvolti”, e allora “teniamo gli occhi spalancati e le luci spente. Se non lo facessimo, forse, i numeri delle statistiche che leggiamo e dimentichiamo varierebbero.
Noi che non abbiamo il coraggio del disturbo, noi che non sfondiamo la porta e non telefoniamo. Siamo noi insomma a far restare ancora la #violenza un fatto privato. Bravissima @Sciandi e grazie @emastokholma per farci aprire bene gli occhi oltre ogni retorica 🙏🏻☺️ pic.twitter.com/Uogc32LU5J
— Fabrizia Giuliani (@FabriziaGiulian) March 6, 2020
1522, il numero che tutti dovremmo conoscere
Oggi però è diverso ed è peggio. Dalle case non possiamo uscire, è una condizione necessaria per combattere la pandemia: ma bisogna evitare in ogni modo che il principio di salvaguardia della vita che governa le ordinanze si trasformi per tante in un rischio esiziale. Sono queste le ragioni che ci hanno portato ad aderire e a farci promotrici della campagna per diffondere in ogni modo il numero antiviolenza 1522. Lo cominciamo a vedere sui siti di università, scuole, città. Era ora. Altri numeri essenziali sono entrati nella nostra quotidianità, è tempo che accada anche con questo: non è un problema di altri, non è una questione che non ci riguarda, soprattutto, non sono coinvolte solo le donne.
È molto positivo vedere che le nostre richieste sono state recepite; che il governo si impegna nella diffusione del messaggio per le prossime settimane, e che la Ministra Bonetti lo rafforzi con la campagna #liberapuoi. Ma sappiamo anche che sono primi passi: senza un’azione continua, forte e diffusa delle istituzioni, un fenomeno, che ha proporzioni gigantesche ed è ancora in larghissima parte sommerso, non riesce ad emergere. Specie ora che le richieste di aiuto si ritraggono, lo Stato deve dare segno di sé e dire, con chiarezza, da che parte sta.
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