“Vorrei sapere se Ella si rende conto, Signore, dell’enormità del processo che ha messo in moto con la mia storia. Io vivevo comoda in una bella casa con i miei bambini senza minimamente capire che ero la bambola di mio marito, come lo ero stata di mio padre e che i bambini erano le mie bambole. Poi capisco, perché il susseguirsi degli eventi da lei narrati mi mette in uno specchio.” A parlare è la protagonista Nora di ‘Casa di bambole’ e a darle la parola è Licia Conte nel sue libro ‘Lucia , Lolita e le altre. Lettere immaginarie’.
Quindici personaggi femminili dialogano con l’autore
Tutte le donne da due secoli a questa parte hanno un giorno “capito”, si sono trovate davanti a uno specchio e hanno visto se stesse e la loro storia rovesciate. Il mondo è apparso loro non più un posto dove avvenivano cose naturali. I ruoli, i pensieri, le storie si sono contorte, le donne si sono guardate e hanno cominciato a pensarsi e a chiedersi, perché erano lì, perché si vestivano in un certo modo, perché amavano in quest’altro, perché facevano certe scelte. E il mondo così ripensato era estremamente eccitante e spaventoso.
Licia Conte fa fare questo viaggio all’incontrario a quindici personaggi femminili di altrettanti romanzi famosi e per ognuna inventa il linguaggio opportuno con cui la protagonista avrebbe potuto scrivere al proprio autore. La Lucia dei ‘Promessi Sposi’ è all’inizio tutta timidezza e modestia. Chiede a Don Alessandro, educatamente intendiamoci, che cosa ha lei di tanto speciale che ogni volta che arriva cambia il corso degli eventi, anche se poi tutti dicono che non è bella, che “è una statuina di cera senza carattere.” Inizia in levare Lucia ma alla fine ipotizza una sua grandezza quasi impossibile da proferire, lei forse è la Madonna innocente che stravolge il mondo, un po’ come l’idiota di Dostoievski.
Che ardire! Contestare la trama a Victor Hugo!
Così, nei modi dei loro caratteri e della loro epoca, procedono queste eroine che scrivono ai loro autori. Iniziano incerte, educate, quasi sommesse e subalterne (se si esclude la Lolita di Nabokov) e poi mano mano, portate con grazia e ironia dalla loro autrice, menano fendenti, demoliscono castelli e prigioni. Non solo uomini sul banco degli imputati, questa è una scelta importante, ma anche scrittrici, a cui i personaggi chiedono di sapere perché esistono e pensano, perché sono state create.
Così la Cosette dei Miserabili che piano piano arriva a contestare al grande Hugo il suo plot e e gli rimprovera di non essere coerente quando non la fa ribellare al marito che caccia Jean Valjean, il tutore che l’ha salvata e cresciuta, dopo che ha scoperto che è un ex galeotto. Che ardire! Contestare la trama a Victor Hugo!
Ma sia Agnes di David Copperfield sia Mary di Orgoglio e Pregiudizio, definite perfetta donnina l’una e viziata e capricciosa l’altra, non hanno intenzione di demolire l’opera né i loro personaggi, vogliono illuminarli di una luce nuova, la luce di una coscienza di sé acquisita.
La maestrina dalla penna rossa: perchè non ho un nome?
Ancora di più, diventano nei fatti delle piccole critiche letterarie, come la Pisana che mette a confronto Manzoni e Ippolito Nievo: “Se posso permettermi, Signore, ma sapete che io mi permetto quasi tutto, ebbene, trovo che voi e Don Alessandro abbiate invece qualche punto in comune…” E poco più in là, senza paura, cita Dante. E poi come niente fosse analizza lo stile del suo autore: “A proposito di parole, voglio parlarvi della vostra lingua.”
Si sorride molto ascoltando le voci impertinenti di queste nuove autrici, sempre sommesse intendiamoci, sempre aggraziate, ma così intraprendenti e anche impudenti. Come la maestrina dalla penna rossa che inizia dicendo che scrive alla buona perché è solo un’insegnante d’asilo e lui un grande scrittore, gli chiede perché non ha un nome e finisce con dare lezioni politiche a De Amicis: “Vi criticano però anche parte di coloro che non si arrendono all’ingiustizia e che sperano e lottano perché il mondo cambi…”.
Il processo al suo autore di Lolita
Solo un personaggio, la Lolita di Nabokov, non usa giri di parole, né mezze misure. “Non vi amo.” Inizia così la sua lettera disperata, l’urlo della bambina violata al suo creatore, che mette in scena nella lettera un processo al suo autore. Non quello del protagonista davanti ai giurati, tutti rigorosamente maschi, ma uno nuovo in un tribunale in cui questa volta sono le donne a giudicare.
E il libro di Licia Conte, che è sempre immerso e nutrito di letteratura, di rinvii e di conoscenze e che fa venire voglia di rileggere tutti i romanzi che attraversa, nella storia di Lolita, tocca il nostro tempo, raggiunge il metoo e la rilettura che oggi ne darebbero le più giovani lettrici.
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