Cara Franca,
probabilmente continueremo a riunirci con gli amici per vedere il suo programma, ma, da oggi, non sarò più una ‘Leosiner’. Ho letto l’intervista rilasciata qualche giorno fa a Open e ho trovato molto deludenti le sue affermazioni sul femminicidio. Vede, le parole possono essere belle o brutte, in questo caso poca importa: di sicuro, come si diceva in una celebre frase di un film, sono importanti e lo sono perchè servono a raccontare i fatti. E più le parole sono appropriate e meglio riescono a narrare la realtà.
Delusa dalla leosini che ignora deliberatamente il fatto che si usi la parola femminicidio quando una donna viene uccisa in quanto tale da un uomo che vuole dominarla e possederla a tal punto da credere che anche la sua vita gli appartenga e che lui possa togliergliela pic.twitter.com/5tU2k95TyZ
— Viviana (@vivranda) May 31, 2020
Dire che le vittime sono tutte uguali, e che, a prescindere dal sesso si tratta di omicidi, significa non aver compreso appieno il significato di questa parola e non voler raccontare un fatto. Se riesaminasse le sue ‘storie maledette’ e le numerosissime storie maledette che almeno una volta a settimana accadono nel nostro Paese, scoprirebbe che sono molte donne a morire (da gennaio a maggio di quest’anno sono state uccise 29 donne), ma non è la statistica a dare senso alla parola, bensì, per dirla in termini “investigativi”, è il movente.
Riguardando attentamente le cronache potrà notare che c’è un filo conduttore in tutti questi ‘particolari omicidi’, le vittime sono tutte donne uccise dai loro padri/mariti/fidanzati/amici per una scelta personale di autonomia e/o libertà. È il voler essere a pieno loro stesse, è il compimento del proprio essere e della propria identità che le ha portate a morire, per questo si parla di femminicidio. E non è la parola ad essere brutta ma la realtà dei fatti che, però, va sempre raccontata.
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